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BAZZOLO (VEBI): «SOGNO UN’EUROPA CHE SAPPIA ENTRARE NEI CUORI DELLE PERSONE»

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«Impossibile tornare indietro, l’Italia troppo piccola per competere da sola. Ripresa? I segnali ci sono»

 Più di settant’anni di storia alle spalle, 15 milioni di fatturato annuo, una cinquantina di dipendenti, esportazioni  in più di 50 paesi, 700 prodotti all’attivo e un tasso di crescita media del 12.5%. “Raccontare” Vebi Istituto Biochimico significa parlare di un’azienda solida, flessibile e dinamica che opera nel mercato internazionale all’insegna dell’innovazione, della grande capacità produttiva e della capillarità distributiva. In questa intervista Luigi Bazzolo, ceo di Vebi, racconta i segreti dell’impresa di Borgoricco, ma affronta anche temi “caldi” legati all’attualità, dall’instabilità dell’area euro («Sarebbe un grave errore abbandonare la moneta unica»), al mercato del lavoro («Per ogni dipendente investiamo in formazione: ogni licenziamento è un danno»), dalle tasse («Assurdo colpire così il settore immobiliare»), fino al ruolo delle piccole imprese nel rilancio dell’economia.

Vebi, un’azienda che cresce in anni di crisi. Come ci si riesce?

«Con una battuta potrei dire che il bisogno di igiene non è calato con la crisi. Vero è che parliamo di un settore abbastanza atipico, all’interno del quale inserirsi è costoso e complicato, e nel quale è altrettanto costoso mantenere le singole referenze, perché per riuscirci servono investimenti di centinaia di migliaia di euro: solo se hai le spalle abbastanza larghe puoi restare in piedi. Fondamentale è stata la capacità, sviluppata a partire dagli anni ’60 e ’70, di diversificare la nostra produzione (i prodotti dell’azienda a marchio Vebi sono suddivisi in tre grandi segmenti, Home&Garden, Professional ed Export: soluzioni di elevata qualità, principalmente nella lotta agli infestanti e nella cura del giardino; nel 1977 è stata invece creata la divisione di dermocosmesi a marchio Vebix, a disposizione delle persone per il benessere e la cura del corpo, ndr). Una capacità che ci ha permesso di essere sempre pronti di fronte alle esigenze del mercato e cavalcare le opportunità con dinamismo. Ma altrettanto importante e la capacità di gestire tutto il percorso produttivo: investiamo in ricerca e sviluppo, registriamo i nostri prodotti, operiamo nel marketing, nella logistica e nella vendita».

Quanto incide l’export nel vostro volume d’affari?

«Oggi il 40% del nostro fatturato proviene dai mercati esteri, in particolare da Unione Europea, Medio Oriente, Nord Africa e Russia. Ma è importante sottolineare che abbiamo continuato a crescere anche in Italia».

La crisi del rublo ha compromesso l’attività della sua azienda nel mercato russo?
«In Russia stiamo soffrendo, ma per fortuna per noi si tratta di “uno” fra i mercati, non dell’unico in cui siamo operativi».

Nell’attuale situazione di instabilità dell’area euro, ritiene che un’eventuale uscita dalla moneta unica aprirebbe uno scenario interessante o catastrofico?
«Sarebbe un grave errore uscire dall’euro, perché siamo troppo piccoli per stare da soli, in un mondo di giganti. Soltanto avendo alle spalle una struttura normativa e organizzativa sovranazionale possiamo pensare di competere. E’ chiaro che stiamo parlando di un processo partito relativamente da poco tempo e che va messo a punto, ma uscire dal sistema euro significherebbe tornare indietro».

Non la preoccupa la crisi greca?
«Per quanto riguarda la nostra azienda per fortuna non abbiamo ripercussioni dirette. Ma, al di là della nostra posizione, sono convinto che non ci sarà alcun terremoto nel sistema, non gioverebbe a nessuno».

Che Europa vorrebbe da imprenditore?
«Un’Europa capace di entrare nel cuore delle persone. Se riuscirà a farlo sarà più facile anche raggiungere nuovi traguardi economici. Se penso al futuro faccio fatica a vedere un continente in cui le realtà regionali abbiano ancora il peso che avevano in passato. Penso, piuttosto, che la direzione sia quella che porta a uno stato sovranazionale: poi è chiaro che vanno fatti passi avanti, in particolare per quanto riguarda la politica estera, che deve essere comune».

E in Italia, cosa dovrebbe fare il Governo per rilanciare la produzione industriale?
«E’ sin troppo facile dire che si deve partire dal taglio di burocrazia e sprechi e intervenendo su una tassazione diventata ormai soffocante. In particolare, trovo miope la tassazione sulle proprietà immobiliari, non solo perché colpisce un settore in cui, attualmente, l’offerta a disposizione è in eccesso rispetto alla domanda, ma perché ci riferiamo a un campo, quello dell’edilizia, che funge da volano per molti altri: tarpargli le ali significa, di riflesso, colpire tutti e rendere tutta l’Italia più povera. Altre misure necessarie e non più procrastinabili? Può essere antipatico dirlo ma occorre aumentare l’età pensionabile, per la semplice ragione che tutti stiamo pagando per la pensione di qualcun altro e non per la propria».

Altro argomento spinoso: la riforma del mercato del lavoro. Cosa pensa dell’addio all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori per le nuove assunzioni con il contratto a tutele crescenti?
«Partiamo da un presupposto: un matrimonio unilaterale non può essere equo. Fino a ieri un dipendente era libero di uscire dall’azienda in qualunque momento, mentre l’azienda non aveva la stessa possibilità di interrompere un rapporto di lavoro. Detto questo, è importante che non ci siano abusi nei licenziamenti, ma occorre combattere lo stereotipo del tutto fuori luogo che vede l’imprenditore pronto a lasciare a casa i dipendenti a cuor leggero: formare un lavoratore e poi doverlo salutare è un danno per l’azienda. In altre parole, la formazione è un investimento oggi e lo sarà ancora di più nel futuro. Lo è, in particolare, in settori come il nostro, altamente specialistici: le aziende che vogliono competere devono investire in formazione. E c’è anche un altro aspetto da considerare».

Ovvero?

«In un paese ingessato, una persona lasciata a casa fatica a reinserirsi nel mercato. In un mercato più libero non sarebbe così, perché aumenterebbero le opportunità a disposizione per rimettersi in discussione».

In tutto questo, con che occhi guarda al futuro del territorio?
«Sembrerà in contrasto con quanto detto, ma io sono ottimista. E lo sono a partire da un dato: quante sono le partite Iva del territorio padovano? Oltre 83 mila e rappresentano più del 25% della forza lavoro della provincia. Bene, tra queste persone ce ne sono di sicuro capaci di gestire il rischio d’impresa e affrontare i mercati esteri, persone che hanno voglia di fare e sanno combattere per portare a casa il risultato e che potranno trascinare anche gli altri. Certo, le regole del gioco stanno cambiando, ma è nella mentalità dei veneti e dei padovani saper fronteggiare le nuove sfide. Magari non nel breve, ma nel medio termine la ripresa ci sarà. Già adesso i segnali si vedono».

Per informazioni
Vebi Istituto Biochimico srl
Via Desman, 43
35010 Borgoricco - Padova - Italia
Telefono +39 049 9337111
Fax +39 049 5798263
Email: info@vebi.it
www.vebi.it

Diego Zilio
Ufficio Stampa Confapi Padova
stampa@confapi.padova.it

 

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