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DALLA MUTTA: «160 CONTRATTI ATTIVI IN ITALIA? UNA FOLLIA»

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Intervista a Stefano Dalla Mutta, Presidente dell’Ordine Consulenti del lavoro di Padova: «Tutto ciò crea confusione e disparità di trattamento. Confapi ha ragione, è il lavoro che deve essere normato»

Fabbrica Padova ha recentemente portato all’attenzione il tema della moltitudine dei contratti di lavoro attraverso uno studio dal quale emerge come lo stesso impiegato possa costare all’azienda oltre 6.000 euro in più all’anno a seconda del Ccnl applicato. In busta paga, poi, un magazziniere con identiche mansioni può ricevere sino a 2.500 euro in meno netti se lavora nell’artigianato rispetto a uno occupato nel commercio. Sull’argomento abbiamo così voluto ascoltare anche l’autorevole opinione di Stefano Dalla Mutta, Presidente dell’Ordine Consulenti del lavoro di Padova. Ve la presentiamo in questa intervista.

Attualmente i contratti collettivi attivi in Italia per l’impresa manifatturiera sono 52: non ritiene che siano troppi?

«52 contratti per l’impresa manifatturiera sono oggettivamente e inequivocabilmente troppi. Così come sono troppi i contratti a livello generale; da un conteggio tratto da un nomale prontuario dei contratti ne ho contati ben 160. Molti sono relativi allo stesso settore altri sono assolutamente residuali che potrebbero essere stati accorpati su settori simili. Tutto ciò genera confusione e, soprattutto, disparità di trattamento per i lavoratori dello stesso settore ma con contratti diversi».

Dal punto di vista del lavoratore, ritiene che le differenze di retribuzioni esistenti a parità di mansioni svolte siano giustificabili?

«Certamente no. Non può esistere una differenza retributiva per la applicazione di un contratto piuttosto che un altro. A parità di mansioni dovrebbe esserci una parità retributiva. L’assunto sembra perfino banale ma, purtroppo, nella realtà accade il contrario. La troppa concertazione, mascherata quasi sempre con il nobile fine di tutelare i lavoratori, e la “smania di parte sociale” hanno causato una serie incredibile di storture e di disuguaglianze che non appare giustificabile. Storture e disuguaglianze rese ancora più evidenti in quanto coloro che sottoscrivevano gli accordi erano profondi conoscitori della questione».

Pensa che approdare a un contratto unico sia possibile o la soluzione è destinata a rimanere irrealizzabile?

«Il contratto unico lo vedo una chimera in quanto le due soluzioni possibili, per il momento, non le vedo percorribili. Mi spiego: se proviamo a immaginare una soluzione anche mediana di un contratto unico avremmo due situazioni: la prima, alcuni dipendenti dovrebbero rinunciare a dei diritti (e non solo retributivi) fin qui acquisiti - e questo mi sembra inapplicabile. La seconda, alcuni dipendenti si vedrebbero riconoscere dei diritti maggiori (e non solo retributivi) che prima non avevano - e questo mi sembra altrettanto inapplicabile per parte datoriale che si tradurrebbe in un incremento dei costi che forse non sarebbe in grado di ribaltarlo in termini di prezzo di vendita».

E’ opinione comune: più le norme sono complesse più c’è spazio per l’attività del professionista… qual è la posizione dell’Ordine che lei rappresenta in materia di semplificazione normativa?

«Più le norme sono complesse più ci rimettono tutti. E quando dico tutti intendo, non solo la società civile in senso lato, ma anche e soprattutto il professionista. La nostra professione non vive di balzelli e di gabbie burocratiche - che il più delle volte si tramuta in sussidiarietà verso la Pubblica Amministrazione, cioè, detta brutalmente, di servizi resi gratuitamente allo Stato. Il Consulente del Lavoro vive di professionalità, di servizi che presta alle proprie aziende clienti nella consapevolezza del suo ruolo di terzietà, di responsabilità e di consapevolezza nella gestione di quelli che soni i diritti fondamentali dell'individuo, di consulenza vera in quelle che sono le esigenze dell’azienda coniugate con quelle dei lavoratori dipendenti e dei loro familiari. Di questo vive il professionista Consulente del Lavoro».

Confapi Padova ritiene che a essere normato debba essere il lavoro e non le imprese e i lavoratori. E’ d’accordo?
«Sono perfettamente d’accordo. Aggiungo anche che sarebbe veramente necessaria una svolta culturale in materia contrattuale - sono d’accordo che è il lavoro che va normato, ma se dico “normare il lavoro”, chi lo può fare meglio dell’azienda e dei suoi lavoratori che lo vivono giorno dopo giorno?».

 

Diego Zilio
Ufficio Stampa Confapi Padova
stampa@confapi.padova.it

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