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ROSSI: «TROPPE IMPRESE ADOTTANO CONTRATTI DIVERSI DALLA PROPRIA ATTIVITÀ SOLO PER PAGARE MENO»

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Intervista a Francesco Rossi, presidente dell’Ordine degli Avvocati di Padova: «Tuteliamo le persone, non siamo azzeccagarbugli: ben venga ogni semplificazione normativa»

«Le differenze di retribuzione del lavoratore a seconda del contratto applicato, a parità di mansioni svolte, non sono giustificabili e non hanno senso alcuno. Non solo, ma proprio quelle differenze spesso suggeriscono “migrazioni” da un contratto ad un altro che hanno la sola finalità di pagare meno a parità di prestazioni». Lo sostiene il Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Padova Francesco Rossi, che Confapi ha intervistato sul tema della moltitudine dei contratti di lavoro, al centro di uno studio di Fabbrica Padova.

Attualmente i contratti collettivi attivi in Italia per l’impresa manifatturiera sono 52: non ritiene che siano troppi?

«Sono senz’altro troppi e il loro numero non è giustificato dalla necessità di disciplinare i rapporti di lavoro in relazione all’attività in concreto esercitata dall’azienda. A questo proposito, si tenga presente che la giurisprudenza da oltre vent’anni ha abbandonato l’orientamento secondo cui l’art. 2070 del Codice civile –  che prevede che il contratto collettivo applicato debba essere quello relativo all’attività esercitata – opera con riguardo al contratto collettivo di diritto comune. Era un norma efficace ed applicabile tuttora. A partire, appunto, dai primi anni ’90 la giurisprudenza ha chiarito come quella norma si riferisca all’ordinamento corporativo, con la conseguenza che oggi un’impresa può adottare un contratto collettivo che non  è riferito all’attività da questa svolta, con il solo limite che la disciplina contrattuale sia conforme ai criteri dell’art. 36 della Costituzione (cosa che si verifica sempre per i contratti nazionali):  l’adozione di un contratto diverso rispetto all’attività è tutt’altro che infrequente ed è determinata dalla necessità o volontà di approfittare di alcune regolamentazioni ritenute più favorevoli. Con il che, un numero così elevato di contratti è del tutto inutile».

Dal punto di vista del lavoratore, ritiene che le differenze di retribuzioni esistenti a parità di mansioni svolte siano giustificabili?

«Non sono giustificabili e non hanno senso alcuno. Non solo, ma proprio quelle differenze spesso suggeriscono “migrazioni” da un contratto ad un altro che hanno la sola finalità di pagare meno a parità di prestazioni».

Pensa che approdare a un contratto unico sia possibile o la soluzione è destinata a rimanere irrealizzabile?

«Un contratto unico forse non è possibile, né utile in ragione della diversità delle situazioni. Ma una radicale semplificazione è necessaria».

E’ un’opinione comune: più le norme sono complesse più c’è spazio per l’attività del professionista… qual è la posizione dell’Ordine che lei rappresenta in materia di semplificazione normativa?

«È questa un’idea legata all’avvocato o, in genere, al consulente visto come un azzeccagarbugli. La funzione dell’avvocato è quella di tutelare chi si ritiene leso in un proprio diritto, non quella di approfittare di complessità normative per avere una ragione di esistere. Ben venga quindi ogni semplificazione normativa».

Confapi Padova ritiene che a essere normato debba essere il lavoro e non le imprese e i lavoratori. E’ d’accordo?

«Sì, certo, sono d’accordo. Con un’avvertenza tuttavia. Bisogna cioè evitare che il rimedio sia peggiore del male. Mi spiego. La contrattazione collettiva nazionale dovrà comunque disciplinare la grande maggioranza degli istituti relativi al rapporto di lavoro. Diversamente l’attuale giungla dei contratti collettivi sarà destinata a moltiplicarsi attraverso una contrattazione collettiva aziendale o riferita ad ambiti territoriali limitati, per cui la frammentazione attuale verrebbe moltiplicata».

Diego Zilio
Ufficio Stampa Confapi Padova
stampa@confapi.padova.it

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