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BAZZOLO: «CI MANCA UNA DOZZINA DI PERSONE NELLE LINEE PRODUTTIVE, COSÌ NON POSSIAMO CRESCERE»

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Manodopera che non si trova: abbiamo intervistato Luigi Bazzolo, presidente di Unionchimica Confapi Padova e titolare di Vebi Istituto Biochimico

 

Luigi Bazzolo è componente del Direttivo nazionale di Unionchimica Confapi e presidente di Unionchimica Confapi Padova, punto di riferimento nel territorio per la piccola e media industria chimica, conciaria, e di materie plastiche, gomma, vetro, ceramica e prodotti affini. Ma è anche titolare di Vebi Istituto Biochimico, azienda di Borgoricco che ricerca, produce e commercializza soluzioni di elevata qualità per l’igiene, la salute e la bellezza. Una duplice posizione che gli consente di avere meglio di altri il polso del problema manodopera.

Presidente, un’azienda su due, nel Padovano, non trova la manodopera che le serve.

«È un problema che conosciamo bene, perché lo viviamo anche noi. Mi mancano dodici persone che non riusciamo a trovare da tempo, su un totale di una novantina di dipendenti che abbiamo. In particolare, le difficoltà sono legate alla linea di produzione, dove a regime avremmo bisogno di una trentina di dipendenti, ma una decina ci manca. Personale che deve imparare a gestire impianti che costano parecchie centinaia di migliaia di euro».

Come lo state cercando?

«Attraverso una decina di agenzie di recruiting attivate ad hoc e annunci su vari canali, a partire dai social. Badate, stiamo facendo colloqui continuamente, al ritmo di più di uno o più al giorno».

Senza arrivarne a capo?

«Diciamo che troviamo persone che hanno restrizioni forti. E più ancora che di “competenze” specifiche che mancano per ricoprire quella posizione, parlerei di interesse a lavorare».

Possiamo citare quale sarebbe lo stipendio di base che offrite?

«Un ragazzo di meno di vent’anni parte in busta paga da 1.350 euro, più gli straordinari pagati. Siamo un’azienda strutturata e che punta molto sulla formazione, per cui la prospettiva è quella di salire nello stipendio una volta che il dipendente sarà più formato e avrà più competenze. Stiamo parlando del primo e del secondo livello del nostro contratto nazionale».

È un problema che si trascina da tempo?

«È crescente. Fino a un paio di anni fa non lo avvertivamo, è esploso dopo la pandemia. E non capiamo se dipenda dal fatto che sono “sparite” persone o se è il settore che sta crescendo. Ma, mi chiedo, dove sono finiti i lavoratori che, fino a prima del Covid, trovavamo facilmente? Dipende soltanto dalla curva demografica? Se è così questo significa che il nostro territorio dovrà aumentare gli stipendi medi per rimanere competitivo. Tenete presente un altro aspetto: un nostro lavoratore deve padroneggiare bene l’italiano per sapere quali prodotti sta utilizzando, e questo già toglie una fetta di potenziali dipendenti provenienti dall’estero. Il punto è che, in questa fase storica, chi è valido ha a disposizione un mercato del lavoro mobilissimo, per cui si sposta senza problemi di azienda in azienda per cifre irrisorie, come 50 euro in più in busta paga. E tu, da imprenditore, se hai già qualcuno di specializzato devi, in un certo senso, coccolartelo. In generale, poi, devi saper rendere l’azienda molto attrattiva. E non penso solo al tema stipendi, che è fondamentale da questo punto di vista, ma anche alle spese che dovrà affrontare chi si sposta da casa: bisognerà trovare il modo di venirgli incontro».

Questa situazione mette a rischio lo sviluppo della sua azienda?

«Sicuramente. Se vogliamo assumere è perché quelle figure ci servono, la manodopera è molto importate per il confezionamento del prodotto. Questo significa che una delle prospettive è quella di aumentare sempre di più l’automazione, laddove possibile. Il lavoro cambierà e sarà più difficile trovare personale per svolgere le mansioni in cui serve meno qualificazione. E considerate che le industrie, comunque, in genere sono posti in cui si sta bene. Va ancora peggio in altre professioni: provate a trovare un giardiniere o un disinfestatore, occupazioni che hanno una loro complessità e che vanno svolte all’aperto, vedrete quanto è difficile».

Da presidente di Unionchimica Confapi Padova: il problema è presente in tutto il settore chimico?

«Sì, una delle battute che girano tra gli imprenditori è legata alla persona che, nel colloquio per l’assunzione, ti dice: “Ma io la tuta da lavoro non la metto”, semplicemente perché non gli va di indossarla. Una frase che tutti noi abbiamo sentito pronunciare spesso. Questo per dire che dietro alla difficoltà di reperire manodopera c’è una componente culturale. Il mercato del lavoro, d’altra parte, si è polarizzato verso l’alto e verso il basso e tutte le figure intermedie tra i due poli - che vedono da un lato chi è laureato e dall’altro chi non ha specializzazione - non si trovano».

 

Diego Zilio

Ufficio Stampa Confapi Padova

stampa@confapi.padova.it

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