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FONTINI: «ELIMINARE GLI ONERI IMPROPRI PER ABBASSARE LE BOLLETTE E INTERVENIRE SUL SISTEMA CHE REGOLA GLI SCAMBI COMMERCIALI PER ARGINARE LA VOLATILITÀ DEI PREZZI»

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In che modo Governo e Unione Europea possono far fronte al grave problema dei rincari dell’energia? E come ci si comporta all’estero? Lo abbiamo chiesto al professor Fontini, docente di Economia energetica e ambientale all’Università di Padova, nella seconda parte dell’intervista focalizzata sugli aumenti record di questi mesi.

 

Caro energia, dopo aver provato a spiegare quali sono le sue cause e quali scenari si prospettano nei prossimi mesi nella prima parte dell’intervista al professor Fulvio Fontini - docente di Economia energetica e ambientale al Dipartimento di scienze economiche e aziendali “Marco Fanno” dell’Università di Padova e membro del centro studi di economia e tecnica dell’energia “Giorgio Levi Cases” - in questa seconda parte ci occupiamo di un altro aspetto: quali misure dovrebbe adottare il Governo per far fronte a questa situazione?

Professore, esiste una soluzione?

«La domanda è chiara, la risposta molto ampia, anche perché le proposte valide sul piano teorico si scontrano con ciò che è realmente possibile fare. Per prima cosa occorre chiedersi se il problema è contingente o strutturale. In questo caso, il caro energia è entrambe le cose. Sul breve periodo farei un paio di considerazioni. La prima: aggredire il prezzo di mercato dell’energia elettrica è un errore, perché tutto ciò che influenza il prezzo di mercato porta a distorsioni e inefficienze superiori rispetto ai benefici che si vogliono generare. Imporre prezzi calmierati, o spalmati su periodi più lunghi, rischia di fare più male che bene».

Come intervenire allora sul breve termine?

«Meno del 40% delle nostre bollette si riferisce ai costi della materia prima che serve per produrre l’energia che ci viene venduta, mentre le spese di gestione rappresentano una quota ridotta. Il resto riguarda voci accessorie e sussidi. In pratica si tratta di una grossa quantità di altri oneri che sono sia propri che impropri. Quelli propri si attengono a remunerazioni di parti della filiera dell’elettricità. Ma nella nostra bolletta abbiamo una serie di oneri che hanno a che vedere solo alla lontana con questo aspetto. Ed è su quelli che occorre intervenire, eliminandoli».

Il Governo si è mosso in questa direzione.

«Il classico esempio è quello del decommissioning del nucleare, i cui costi vengono pagati nelle nostre bollette dal 1986, nonostante il condizionamento dei più pericolosi rifiuti radioattivi in Italia non sia neppure iniziato, tant’è che ancora non abbiamo individuato nemmeno l’area per lo smaltimento delle scorie. E perché allora lo devono pagare gli utenti? Detto questo, occorre comunque capire quali oneri tagliare, perché, se permettete, il diavolo sta nei dettagli. Molti imprenditori, ad esempio, osservano: perché pago per la rete pubblica se una parte rilevante del mio consumo è in autoproduzione o se uso una rete interna? Io quella infrastruttura non la utilizzo! Ecco, questo ragionamento è intrinsecamente sbagliato, perché il beneficio dell’interconnessione va diffuso su tutti, indipendentemente da quanti sono effettivamente connessi. La rete esiste da prima che ci si potesse autoprodurre l’energia in base a quanto si consuma, e andava costruita. Ho citato questi due esempi per far capire che sì, è corretto intervenire sugli oneri presenti in bolletta, ma bisogna intendersi su quali siano».

C’è un secondo aspetto al centro del dibattito: interveniamo sulla distribuzione degli utili delle aziende che forniscono l’energia.

«Anche qui occorre stare attenti. Lo dico perché le imprese della distribuzione e del retail sono quelle che in questo momento soffrono di più a causa dell’aumento del prezzo. Chi compra l’energia elettrica? Non l’utente finale, ma il suo fornitore, che a sua volta deve acquistare quell’energia e che per primo sta scontando la volatilità dei prezzi: non a caso stanno aumentando i fallimenti dei distributori. Sono loro a doversi sobbarcare non solo gli aumenti, ma anche le possibili morosità se l’utente non riesce più a pagare. Non a caso, la questione del costo delle garanzie vale per i clienti ma anche per loro. Ultima chiosa sugli utili: le imprese che generano l’elettricità sono tutte imprese private, pur con quote di partecipazione pubblica. Come tali hanno come obiettivo quello di massimizzare il proprio valore. Ne consegue che intervenire sulla distribuzione degli utili significa influenzare il mercato e intervenire sul loro valore».

E l’equità sociale che fine fa?

«Chiaro che occorre tenerla presente, così come occorre considerare la povertà energetica, per chi non riesce a sostituire vettori vecchi e costosi con vettori nuovi e più efficienti. Ma l’equità sociale non si realizza intervenendo direttamente sul mercato. Piuttosto è preferibile supportare la domanda di chi è in condizioni svantaggiate e delle imprese che pagano l’energia in modo differente a seconda del livello, e parallelamente supportare l’attività di retailer e distributori, riducendo sia gli oneri impropri sia i rischi impropri, e affrontando la questione delle garanzie. Non va bene distribuire su tutti i consumatori il rischio di impresa di alcuni, va invece favorito l’effettivo spostamento su offerte più concorrenziali e bisogna intervenire sul tema della povertà energetica e sui differenziali di costi rilevanti per le imprese con politiche industriali, con trasferimenti diretti e specifici. Qui si solleva il grande tema di come individuare la platea dei beneficiari, che non possiamo affrontare in questa sede. Ma quello che voglio dire è che molto più efficiente e utile, e quindi efficace, lasciare che il mercato si regoli autonomamente, intervenendo piuttosto sui rischi che la volatilità dei prezzi genera. Allo stesso modo, per quanto riguarda il prezzo delle materie prime - le cosiddette commodities – per le stesse ragioni ritengo ci sia poco margine di intervento».

L’analisi si è già spostata, a questo punto, sul lungo periodo.

«Dal lato della domanda le misure sul lungo periodo possono essere volte a favorire la sua elasticizzazione nel Paese, e quindi la diversificazione delle fonti energetiche nel momento in cui variano i prezzi, dopo una seria analisi di costi e benefici. In questo senso ben vengano le politiche di incentivazione delle rinnovabili, ma vanno valutate, appunto, sul lungo periodo e stando attenti a non introdurre nuove rigidità. Faccio due esempi. Le pompe di calore possono ridurre la domanda di gas ma finiscono con l’aumentare i consumi elettrici, specie a uso domestico. Allo stesso tempo si parla da decenni del ruolo dell’idrogeno come vettore, ma il suo effettivo utilizzo non si è mai concretizzato a causa di ostacoli tecnici ed economici, perché dipende dalle strutture dei sistemi energetici, e quello italiano, nello specifico, ha una forte presenza di infrastrutture dedicate al gas naturale, con reti capillari e in grado di essere sfruttate ancora di più. Il punto è che non esiste una risposta semplice e valida per sempre e in ogni Paese. Per non parlare delle varie politiche relative all’offerta: le fonti fossili vanno contro la transizione energetica, ma in questo periodo abbiamo assistito addirittura a un aumento dell’uso del carbone, che è più economico rispetto ad altre fonti».

All’estero qual è la situazione nei Paesi che possiamo ritenere nostri competitors sul piano economico, come Francia o Germania?

«Bisogna capirsi: cosa si intende per paesi simili al nostro? La Francia non lo è affatto, lì il 60% dell’offerta energetica arriva dal nucleare, e fa capo a Edf, la maggiore azienda produttrice e distributrice di energia, che è stata privatizzata ma che rimane soggetta a controlli e limiti pubblici, in particolare attraverso una norma legata alle centrali elettriche virtuali (Virtual Power Plant), che aggregano impianti diversi in un unico sistema di controllo, gestendo produzione, immagazzinamento e domanda di energia in modo efficace. Sono sempre gestite da Edf, ma l’offerta è fornita ai distributori tramite strumenti di asta che favoriscono l’emergere di un prezzo più basso rispetto a quello marginale - e questa è una soluzione intelligente - approfittando del fatto che l’energia elettrica prodotta attraverso il nucleare ha un costo inferiore rispetto a quella prodotta attraverso il gas naturale. Considerate che, se le condizioni sono più favorevoli per i distributori dell’energia, i vantaggi poi ci sono anche per gli utenti, perché gli stessi distributori possono farsi una maggior concorrenza sui prezzi, abbassando le cifre».

Pur tenendo conto di un contesto radicalmente diverso, anche da noi sarebbe possibile intervenire sul sistema dei prezzi.

«È auspicabile. In Inghilterra, ad esempio, dove le liberalizzazioni di prezzo sono iniziate prima che da noi, si sono fatti accordi tra fornitori e acquirenti - per elettricità e gas - con un orizzonte temporale più lungo, che argina il problema della volatilità dei prezzi. Giuridicamente si può fare, si può intervenire sul sistema che regola gli scambi commerciali».

E in Germania?

«La Germania sconta altri problemi. Conta sì su una forte penetrazioni delle energie rinnovabili, ma ha anche forti vicoli di cogestione sulla rete sulla quale ha fatto forti investimenti pubblici. Lo sottolineo per rimarcare che è difficile trovare uno strumento fit for all, proprio perché ogni Paese ha una sua storia e sue peculiarità».

Ci sono però anche punti di contatto tra i diversi Paesi.

«Quel che possiamo dire è che, sul breve periodo, l’attenzione a non introdurre oneri impropri - o, se già presenti come in Italia, a ridurli - è abbastanza generalizzata. Contemporaneamente, come sappiamo, c’è una politica europea mirata all’incentivazione alle fonti di nuova generazione - anche se non tutti sono d’accordo su come arrivarci, e pensiamo al recente dibattito sul nucleare, attorno alla possibilità di considerarlo una buona opzione contro la crisi climatica. C’è infine un terzo aspetto che sin qui abbiamo toccato solo marginalmente e che riguarda le infrastrutture di interconnessione, e cioè di collegamento fisico delle reti pubbliche: è evidente che più aumenta la capacità di interconnessione delle strutture, più aumenta la possibilità di ridurre la volatilità dei prezzi di cui abbiamo parlato nella precedente intervista».

Diego Zilio

Ufficio Stampa Confapi Padova

stampa@confapi.padova.it

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