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«SONO PARTITO DA UN GARAGE, SONO ARRIVATO IN CINA E ORA PUNTO ALL’AMERICA»

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Da una parte all’altra del mondo. Già presente in Cina, nel distretto di Guangzhou, Fral, azienda di Carmignano di Brenta che produce deumidificatori hi-tech - con un fatturato di 18 milioni di euro nel 2019, una cinquantina di dipendenti in Itala e una quarantina in Cina - è da poco sbarcata negli Stati Uniti, dove comincerà a vendere direttamente. Ma lanciare l’attività oltreoceano è solo una delle sfide alle porte. Ce ne parla, in questa intervista, il titolare Alberto Gasparini.

Come mai avete deciso di essere presenti direttamente anche al di là dell’Atlantico?

«Abbiamo fatto di necessità virtù, dopo aver avuto qualche problema tecnico con un nostro distributore che non garantiva un adeguato post-vendita e già in passato ci aveva creato alcuni problemi. A noi piace stare sul mercato con il nostro modo di fare, e non era quello. Parallelamente, un ex dipendente di un nostro ex cliente si è proposto in azienda e noi abbiamo colto l’opportunità affidandogli la società che si occuperà delle vendite. Riteniamo di poter già contare su una quota di mercato e la vogliamo allargare. La sede legale è a Miami, quella operativa in North Carolina, abbiamo aperto da pochi mesi e a breve saremo del tutto pronti, con il primo materiale da vendere».

Quindi sarete negli Usa esclusivamente con l’attività commerciale.

«Per ora sì, anche perché il quadro economico attuale consiglia prudenza. Poi vedremo nei prossimi anni, e molto dipenderà anche dalle politiche commerciali che saranno adottate negli Stati Uniti. Al momento stiamo puntando su tre modelli prodotti in Cina dalla nostra filiale, ma come sapete i dazi Usa verso quel Paese sono molto elevati e il made in China non è ben visto, per cui vogliamo arrivare a esportare qualcosa di Made in Italy, per non essere penalizzati. È chiaro che molto dipende dalle stesse elezioni americane e da come di conseguenza si evolverà la politica daziaria di quel Paese. Noi, di conseguenza, valuteremo il da farsi».

A proposito di Cina, di recente anche il Tg1 ha parlato di voi, visto il coinvolgimento diretto nell’emergenza coronavirus.

«Nel 2004 abbiamo aperto una nostra azienda a Guangzhou, con la quale ci siamo rilanciati, decuplicando anche la produzione in Italia. In Cina siamo presenti a oggi solo in ambito di produzione e assemblaggio. Già da alcuni anni abbiamo però deciso di cominciare anche a vendere, spingendo molto in quella direzione. Eravamo pronti a farlo, prima che scoppiasse l’epidemia e bloccasse tutto, tanto da far annullare l’importante fiera di settore in programma a Wuhan nello scorso mese di aprile. Ma l’obiettivo rimane. Per quanto riguarda l’aspetto produttivo, abbiamo ripreso su ritmi normali, ma il problema è che il nostro personale italiano non può più tornare sul posto e questo ci crea parecchie difficoltà mancando il controllo in un momento di lancio di nuovi prodotti: tutto il prodotto di nuova concezione è costretto a passare per l’Italia per un controllo con un innalzamento elevatissimo dei costi».

Quali ripercussioni ci sono state per voi?

«In Italia siamo stati chiusi del tutto un solo giorno, per poi riprendere al 15% dei nostri ritmi lavorativi, passando successivamente al 60%, con turni di 6 ore, con età personale per turno, anziché di 8, incentivando ove possibile lo smart working per la maggior parte del personale tecnico e amministrativo. Più ancora del fatturato a preoccuparci sono gli ordini. Attualmente sembrano in ripresa, ma da quando siamo ripartiti, per le prime 4 settimane, la tendenza era di un -60%. Nelle settimane successive abbiamo ripreso a lavorare tantissimo, ma temiamo sia un fuoco di paglia perché al momento è una ripresa di difficile lettura. Diciamo che, proprio grazie alla sede presente nel territorio cinese e alla capillarità mondiale della nostra clientela siamo riusciti e tamponare l’incertezza economica presente nel vecchio continente, tra le altre cose rifornendo anche gli ospedali da campo creati dalle varie protezioni civili dei singoli stati al fine di aumentare la capienza dei posti destinati alla terapia intensiva e non».

Consolidarvi negli Stati Uniti, partire con la fase di vendita in Cina, ritornare al segno più nel fatturato. Sono queste le sfide che attendono Fral nei prossimi mesi?

«Sì, ma se parliamo di sfide, rispondo che oggi penso al lancio di due nuovi prodotti e il primo, in particolare, riguarda la sanificazione dell’aria, un settore del tutto nuovo per noi. Dopodiché dico di sì, nel 2021 puntiamo a tornare sui livelli del 2019, ma ci prepariamo a fronteggiare un -25% nel 2020. Nel 2019 abbiamo fatturato per circa 18 milioni di euro, 4 dei quali provenienti dal mercato nazionale, vale a dire poco più del 20%».

Un’ultima domanda sul percorso di Alberto Gasparini imprenditore: quando è entrato nel mondo del lavoro, pensava che sarebbe arrivato qui?

«Ho cominciato da dipendente alla Hiross di Piove di Sacco, nel Centro Ricerche, e ho avuto Luigi Nalini come maestro. Poi per due anni ho lavorato in Pavan, specialista in impianti per le industrie di pasta alimentare, e poi in un’altra azienda, la Sirces, di cui sono stato anche socio di maggioranza. L’esperienza in Fral parte invece da… un garage. Letteralmente, perché lavoravo in un garage, a Udine, assieme a un socio, parliamo di circa trent’anni fa. Poi nel ’96 ci siamo divisi, e per qualche giorno ho pensato di aver chiuso con Fral e di dedicarmi all’altra azienda. Finché, confrontandomi col nostro commerciale, mi sono convinto a ripartire e, quando ho deciso di farlo, l’ho fatto investendo parecchio, ma sempre facendo i passi proporzionati alla gamba. Ecco, per tornare alla domanda, mi sono convinto nel mio piccolo di avercela fatta tra il 2008 e il 2009, superando la crisi che si è sentita anche nel nostro settore».

Diego Zilio

Ufficio Stampa Confapi Padova

stampa@confapi.padova.it

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